di Davide D’Angelo
Tango a New York. Diario di viaggio nelle milonghe della Grande Mela.
Stasera si inaugura “El Destino”. Dalle 18 alle 23. Eh? Ma che ci faccio con una milonga che chiude alle 23?
Alle 23 di solito arrivo. Poi il tipo del B&B mi scrive che per le 17.30 sarà di ritorno da cena e capisco che non sono io quello col jet lag qui.
El Destino è in un lounge restaurant di cucina ipermoderna, il Raymi (43 W 24th st.). Mi accoglie una stangona di chiare origini nord-europee, come il nome poi confermerà (Tine Herreman), mentre la hostess principale è una chica latina, Amanda Archuleta.
Facebook mi mostra amici tangueri in comune a San Francisco, Washington, Genova e naturalmente… Milano.
La sala è elegantissima ma piccola, si cena a bordo pista e i camerieri si involano coi piatti tra le coppie. Il parquet è perfetto e alle 19 è già gremito. Ballo da più di tre anni e questa è in assoluto la serata con il più alto livello a cui abbia mai partecipato. E questo nonostante l’età media sia molto bassa. Anzi le più brave sono proprio quelle che non ne avrebbero bisogno, le ragazze sotto i trent’anni col fisico bestiale e la pancia scoperta, quelle che ci sarebbe la fila pure se non sapessero mettere insieme due passi. E altrettanto si può dire per i loro fidanzati, visto che stasera sembra siano venuti tutti in coppia.
Metà asiatici, molti russi. Il melting pot del tango negli States.
Metà del parterre è asiatico, come altrove negli States, e poi c’è la solita numerosa armata russa. Mi accomodo a studiare la situazione e vedo almeno tre fenomeni in pista. Non sarà una serata facile, mi sembra di esser tornato alle prime uscite. E infatti nel corso della serata non saranno poche quelle che eluderanno il mio sguardo, ma qui il livello è tale che si può invitare quasi a caso. Inizio con una coreana non giovanissima che mi sorride da quando sono entrato. Ci troviamo gran bene e lei ogni tanto ci mette dei “wow”, non so se sentiti o di circostanza. Alla fine commenta dicendo che il mio tango è molto diverso, “very energetic”. Ok, l’ho frullata mi sa… Proseguo con una ragazza con un vestito verde e le braccia avvolte in serpenti tatuati. Abbraccio spettacolare, ma troppo milonguero per i miei gusti, non lo lascia scorrere. Gran falcata e sensibilissima, devo ridurre la guida a movimenti piccoli altrimenti qui falciamo tutti.
Poi invito una delle fuoriclasse della serata che incautamente o per generosità accetta sorridendo. E’ una bionda sui trentacinque, mi pare di Montreal, carina senza esagerare, con gli occhi grandi, una gonna colorata svolazzante. Da noi una cosi potrebbe insegnare a metà dei maestri del circondario. Balliamo qualcosa di ritmico e in spazi piccolissimi, non certo il mio forte, ma lei capisce tutto con semplicità e ci mette deliziosi giochini sul controtempo. Alla fine è una gran tanda, almeno per me.
Ma se gli togli la passione, che balli a fare?
Mi serve una birra. La tanda di milonga fa al caso mio (non me la rischio di certo). La pista scorre pochissimo e ben presto abbandono l’idea di camminare, praticamente ballo sul posto, ma trovo la mia dimensione e le tande si susseguono interessanti, a parte un paio di boiler invadenti comuni a tutte le milonghe del mondo. Il Dj sa fare il suo mestiere, senza guizzi, ma in un bel crescendo di classiconi. Alla penultima tanda riesco ad invitare un’ucraina sui venticinque anni che avevo puntato da tutta sera. Alla cortina precedente ci eravamo presentati in due, ma stava accettando l’invito di quell’altro. Me ne ero uscito in scioltezza e lei ora si scusa con cordialità. Ha i capelli raccolti e gli occhi blu. Indossa jeans e un top nero che è praticamente un reggiseno. Basta. La pista è un pelo più sgombra e il DJ infila tre vals strepitosi. Lei è di un altro pianeta, ma io sono in palla, sento la musica e spingo sul gas. Apprezza. Filiamo che è una meraviglia. Poi trotterella a fare l’ultima tanda col fidanzato e io chiudo in bellezza con una certa Laura (pronounced Loura, of course) che mi mirava da un po’. Abbraccio molto stretto, pieno, sentito. Si muove un po’ a scatti e ogni tanto si inventa qualcosa, ma non è importante, si sente che sta dando tanto ed è una bella tanda. Alla cumparsita abbiamo trovato una buona intesa e ci salutiamo con dispiacere, dopo forse l’unico pathos percepito nella serata. Perché, diciamocelo, questi americano avranno pure una gran tecnica, ma sono decisamente troppo controllati, come avevo notato già a S. Francisco e come è poi in linea con la natura un po’ bigotta di questo paese. E se al tango gli levi tutta la passione, alla fine che balli a fare?
Le sorprese del localaccio dell’East village
Lunedì sera l’unica milonga aperta si trova nell’East Village, una zona decisamente più interessante. Anni fa avevo girato parecchio per i negozi di dischi in questa zona che ha fatto la storia del Rock. Gli edifici bassi ospitano ancora un susseguirsi di fumerie di narghilé, basement bars e templi del vinile. El Ensueno Tango Salon si tiene nell’East Village Ukranian Restaurant (140 2nd Av.), un localaccio mai ristrutturato, con gli interni in legno bisunti, la scritta col tubo al neon multicolore ed una livrea storica da cameriera ucraina esposta in una teca.
Dopo giorni di junk food, questo non può essere peggio e così arrivo un po’ in anticipo sull’orario di apertura (21.30, prima ci sono due lezioni) e ordino la specialità della casa: stuffed cabbage, cavolo ripieno di riso e funghi. L’ottimo piatto e la birra ucraina rispecchiano l’autenticità del luogo.
Alle spalle si apre l’ampia sala da ballo. Pavimento consunto e, anche qui, interni in legno in stile est europeo, luci basse. In un posto così da noi ci trovi solo sessantenni o oltre. Quando arrivo saranno alla seconda tanda, ma nel giro di una mezz’ora si riempie. La densità è quella giusta e la ronda gira abbastanza bene. Sia l’atmosfera che il livello sono decisamente più umani con anche un paio di coppie di principianti che si allenano dopo la lezione. Il maestro, organizzatore e buon Dj è Tioma Maloratsky, un russo grosso come un orso siberiano, ma molto più cordiale. Parla inglese e spagnolo senza accento e mi da il benvenuto.
Pure la frequentazione è piuttosto russa stasera, nel complesso della serata saranno cinque le russe con cui ballerò a cominciare da Ekaterina con cui faccio la tanda di apertura. Le russe hanno questa caratteristica: siccome qualcuno ha detto loro che il tango è passione ti si avvinghiano, ti ballano addosso e accentuano teatralmente ogni movimento come se finita la tanda si dovesse subito passare in camera da letto. Ovviamente questo poi non succede, ma sotto l’interpretazione c’è una piacevole cordialità e generosità.
Grosso come un orso siberiano. Pochi passi semplici, eppure incanta.
Tioma balla un milonguero elegante tutto di controtempi e passi rapidi. Lo mette in ombra un vecchio milonguero di Buenos Aires. Alla sua età si permette pochi passi semplici, oppure ha sempre fatto così, eppure incanta. A parte loro due fenomeni in pista non ne vedo e infatti riesco ad invitare senza problemi. Premio simpatia ad una ragazzetta turca giovanissima dal nome incomprensibile che ride, sorride, si scusa ad ogni errorino, ma si e mi diverte. Poi faccio l’azzardo di invitare una stangona con uno stacco di coscia che mi arriva all’ascella e un seno molto prosperoso. Provenienza Copenhagen. La tanda inevitabilmente è una lotta alle leggi della dinamica, ma lei è brava e ce la mette tutta a ballare col nanerottolo. Ci incastriamo spesso e ridiamo, al che decido di non risparmiarle nulla, nemmeno i fuoriasse. Nonostante la performance, un paio di sciure mi mirano e le accontento volentieri: entrambe mi chiedono di me e di come sono capitato lì. Corinne è francese, tiene poco l’asse, ma lo sa e ce la mette tutta. Mi ringrazia con un sorrisone esagerato. L’altra è giapponese e un po’ nervosetta.
Ci sono donne che prima che abbiano finito di cambiarsi le scarpe già profumano di tango. Kate è una di queste e una delle poche newyorkesi dalla nascita con cui ho ballato in due giorni. Sulla trentina, graziosa, pantaloni e camicetta eleganti e castigati. E’ poco convinta quando la invito, ma ha già rifiutato un greve invito verbale con una scusa ed è li da sola: da qualche parte deve pur cominciare. Ovviamente avevo visto giusto. C’è quella connessione per cui cammini e cammini e ad ogni passo spingi e senti che vai e il solo gesto del passo ti fa godere. E non se la tira neanche, mi chiede un po’ di me, del mio lavoro e a fine tanda sembra davvero piacevolmente sorpresa.
C’e’ spazio anche per una greca e per una terribile ucraina che si inventa i passi, prima di imbroccare Mariana. Dopo un tango di quelli giusti mi dice che è di Buenos Aires. Annaspo e farfuglio qualche scusa, tipo che ballo da poco tempo, ma non serve. E’ dolcissima. Avrà la mia età, capelli biondi lunghissimi, è piccola e ossuta, ha il tango dentro, eppure sembra quasi emozionata. Io preso in contropiede faccio un secondo brano con qualche casino, ma poi mi riprendo e chiudiamo in crescendo. Solo qualche giorno dopo, grazie a San Facebook mi accorgo che è Mariana Fresno, professionista di un certo livello e che youtube è pieno di sue esibizioni con una lunga lista di maestri. Magari avessero tutte la sua semplicità.
“Ah, Italians know how to hug!”.
Un paio di russe appariscenti, tutto fumo e niente arrosto, poi non posso dire di no ad una signora che mi fissa da quando ho ballato con la sua amica. E’ indiana e balla decisamente meglio della sua amica. A questo punto mi lancio su Gayle (Gayle Gibbons Madeira) che è la fidanzata di Tioma, insegna con lui e organizza la serata. E’ originaria della Virginia, ma ormai vive a NY da 25 anni e si sente newyorkese. Credo aspettasse il mio invito, nel senso che in quanto padrona di casa le fa piacere accogliermi. Metto le mani avanti, ma lei dopo il primo brano mi mette a mio agio: “Ah, Italians know how to hug!”. Intanto questo me lo metto nel curriculum. E’ una tanda di vals incalzanti e come spesso accade quando ballo con una professionista la sensazione è che tutto sia perfetto, mentre preferisco non immaginare cosa stia provando lei. Qualunque cosa sia, lei ci mette gioia e generosità e la tanda per me è un regalo bellissimo. Poi mi porta a conoscere Tonino, l’unico altro italiano in circolazione, il quale a sua volta mi presenta il suo amico Mike – Michele – che pure mi parla in italiano nonostante dai lineamenti potrebbe essere di Saigon. “Il bello dell’America è che lì sono tutti bastardi”, scriveva Pavese.
L’ultima tanda la faccio con una ragazzina di colore con i jeans ampiamente risvoltati, una canottiera nera e i capelli raccolti in due rosette. Lei è proprio di qui e mi chiede che ci faccio, se mi piace e quanto mi fermo.
Mai abbastanza, a New York.
It’s unfortunate that with your extensive writing and journey through tango, you’ve made quite an effort to name Milongas and instructors but no attempt to credit the photographers whose photos you’ve used to color your writing. I think if someone used your work, you would want to credited no?
I asked you in a private message on Facebook (I had no other contact) what credit you would have liked us to quote and you never replied. We are ready to acknowledge the credit in the form you prefer, but your complain makes no sense.